SULL’APPLICAZIONE della L.194

Aborto, la fuga delle donne

Interruzione di gravidanza, strutture in crisi «Attese e umiliazioni». E tante vanno all’estero

I numeri della legge


«Le prenotazioni per la legge 194 sono esaurite. Riprenderanno
il 19 febbraio dalle 11 alle 12». Così la segreteria telefonica
dell’ospedale Macedonio Melloni, tra i più importanti di Milano.
Inutile meravigliarsi. Prendere un appuntamento per interrompere la
gravidanza è solo l’inizio dell’odissea che le donne devono affrontare
per abortire oggi in Italia. Un percorso a ostacoli tra ambulatori
aperti solo un’ora alla settimana, accettazioni a numero chiuso,
colloqui, visite ginecologiche ed ecografie che costringono ad andare
in ospedale anche quattro volte, liste d’attesa che superano i 15
giorni almeno in un caso su due, l’insistenza dei volontari del
Movimento per la vita in corsia, umiliazioni emblematiche come il
cartello con la scritta «Interruzioni di gravidanza» appeso ai lettini
delle donne in procinto di abortire al Niguarda, eliminato solo dopo
l’intervento dei sindacati dell’ospedale milanese. L’irruzione della
polizia al Federico II di Napoli dopo un aborto terapeutico è la punta
dell’iceberg di un fenomeno che spinge sempre più donne a rivolgersi a
cliniche estere. In fuga dall’Italia per abortire.

 

I viaggi dell’aborto
«Are there a lot of italian women
coming here? », «Yes. Lately even more». Alla domanda se ci sono
numerose italiane che prendono un appuntamento, la centralinista della
Leigham Clinic non ha dubbi: «Si. Ultimamente sempre di più». La
clinica a sud di Londra è diventata uno dei punti di riferimento delle
donne che con 780 sterline possono interrompere la gravidanza nel giro
di una settimana. Un numero che non ha eguali in Europa. Lo dimostrano
le statistiche del ministero della Salute inglese. Con l’arrivo in Gran
Bretagna di una donna ogni due giorni, l’Italia è in cima alla
classifica dei viaggi per abortire, seconda solo all’Irlanda (dove le
Ivg sono illegali ameno che non siano in pericolo la vita e la salute
della donna). Avverte Vicky Claeys, direttore per l’Europa
dell’International Planned Parenthood Federation, il network mondiale
per la tutela della maternità e della salute sessuale con sede a
Bruxelles: «Il clima che si respira in Italia è preoccupante. La legge
c’è. Il problema è la sua esecuzione: abortire sta diventando quasi
impossibile ». Due le conseguenze dietro l’angolo, almeno secondo
Bruxelles: «Chi ha i soldi va all’estero, le altre rischiano di tornare
agli aborti clandestini». Tra i medici contattati spesso dall’Italia,
ginecologi famosi come il londinese Kypros Nicolaides e il parigino
Yves Ville. Le donne prendono il volo verso Londra e Parigi soprattutto
per le interruzioni terapeutiche di gravidanza (quelle dopo i tre mesi,
qui vietate di fatto dalla 24ma settimana). Ma sono in crescita anche
quelle che si dirigono in auto in Svizzera per prendere la pillola
Ru486 non ammessa in Italia e ottenibile in Canton Ticino con 400 euro.
«Ne arriva almeno una a settimana solo da noi—ammette il ginecologo
ostetrico Jürg Stamm, balzato spesso all’onore delle cronache per la
sua attività al centro di fertilità che guida all’ospedale «La Carità »
di Locarno —. Io di solito aiuto le donne che vogliono un figlio e non
riescono ad averlo. Ma l’Ivg non è un reato: perché, dunque, negare
alle pazienti la possibilità di abortire senza entrare in sala
operatoria? ».

Anti-abortisti in corsia
Tra i motivi che spingono ad
andarsene, anche le difficoltà con cui spesso deve fare i conti chi si
rivolge agli ospedali. Al San Paolo di Milano gli appuntamenti per le
Ivg vengono presi un’ora alla settimana il venerdì, dalle 13.30 alle
14.30. Al Buzzi di via Castelvetro gli sportelli sono aperti il
mercoledì e il venerdì alle 7.30, ma la segreteria telefonica avvisa
già: «Vengono accettate le prime 16 donne». Altra città, nuove
situazioni. Agli ospedali Riuniti di Bergamo la sede del Movimento
della vita è all’interno del reparto di Ostetricia e Ginecologia
guidato dal 2000 da Luigi Frigerio (vicino a Comunione e Liberazione).
Al San Matteo di Pavia se n’è appena andato via anche l’ultimo non
obiettore: gli aborti li fanno due giovani con borsa di studio. A
Desenzano c’è un solo medico che esegue le Ivg (quando è malato o in
vacanza ne deve arrivare uno da fuori). Stesse scene anche fuori dalla
Lombardia. Al Ca’ Foncello di Treviso c’è un solo ginecologo su 15. E,
proprio in Veneto, è atteso a settimane l’arrivo in consiglio regionale
del progetto di legge di iniziativa popolare che prevede, tra l’altro,
la presenza di volontari antiabortisti negli ospedali. Il consigliere
di Alleanza Nazionale, Raffaele Zanon, ha chiesto di mettere in
discussione la proposta subito dopo l’approvazione del Bilancio 2008.
Ancora. «In Basilicata la percentuale di camici bianchi che non
praticano aborti è vicina al 93%, anche se i dati del ministero della
Salute, fermi al 2005, li danno al 42%—denuncia il radicale Valerio
Federico —. All’ospedale San Carlo di Potenza raggiungono la quota del
95%».

Le liste d’attesa
In Italia, insomma, in media sei ginecologi
su dieci sono obiettori, con punte del 70% al Centro. «Così hanno più
chance di fare carriera e diventare primari, ma i tempi di attesa per
le pazienti si allungano», fanno notare al Ced, uno dei principali
consultori laici di Milano. Per almeno una donna su due trascorrono più
di due settimane tra il certificato del medico e la data
dell’intervento. Il 25% deve aspettare fino a 15 giorni. E adesso con
la fuga all’estero per le Ivg si rischia un déjà vu di quanto già
successo con la fecondazione assistita (a quattro anni
dall’approvazione della legge 40, «I viaggi per la provetta» sono al
centro proprio oggi di un convegno organizzato da SOS Infertilità allo
Spazio Guicciadini di Milano). Non finisce qui. C’è chi teme che mentre
negli ospedali pubblici si moltiplicano le difficoltà per abortire,
nelle cliniche private prendano piede le interruzioni di gravidanza
clandestine. Mascherate da aborti spontanei. Da codice penale.


Benedetta Argentieri, Simona Ravizza
16 febbraio 2008

(dal "corriere.it")


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